Insieme

Una Chiesa di missionari e di migranti

Approssimandosi il mese di ottobre, il mese missionario per eccellenza, mentre parlavo con una coppia storica del cattolicesimo derviese, ho condiviso con loro la mia sensazione, circa una scarsa propensione missionaria della parrocchia di Dervio. Invece sono stato piacevolmente sorpreso da una lista considerevole di missionari, sia di Dervio che della Valvarrone, tra i quali addirittura un Vescovo nativo di Sueglio. Purtroppo sono tutte vocazioni antiche, molte delle quali già entrate nella Gloria di Dio. In ogni caso rimane questa piacevole scoperta, che cioè le nostre terre, oltre ad essere state per secoli terre di migranti, sono state anche terre di missionari.

Ecco allora che s’impone una domanda inderogabile: che cosa è rimasto dell’eredità dei nostri padri? Noi, loro discendenti ed eredi, lo siamo anche nella Fede e nei valori ad essa collegati? Le generalizzazioni sono sempre un grande pericolo; d’altro canto qualche domanda viene spontanea, vedendo il venir meno di uno spirito missionario e di uno stile di accoglienza nei riguardi di culture diverse dalla nostra. Perché si è interrotta questa tensione nell’annuncio del Vangelo? Forse perché, come un po’ in tutta la Chiesa occidentale, pensavamo di affidare a loro, ai missionari di professione, quelli delle congregazioni missionarie, il compito di annunciare il Vangelo.

Adesso, grazie al magistero di Papa Francesco, ci siamo ricordati nuovamente che, in realtà, l’annuncio del Vangelo è tutt’uno con l’essere cristiani. In altre parole, non possiamo dirci realmente cristiano/a se non mettiamo sempre Gesù al centro di tutto ciò che facciamo e, quindi, se non condividiamo la Fede in Lui con le persone, che Lui ogni giorno mette sulla nostra strada.

Ovviamente per fare ciò, bisogna aver superato definitivamente quell’idea pericolosa, per la quale io/noi possediamo il Vangelo, abbiamo capito tutto di Gesù; mentre “loro/gli altri” devono essere educati/istruiti da noi sulle questioni di Fede.

Invece, il cambiamento epocale che stiamo vivendo ci ha aiutato a capire che il Vangelo, essendo la manifestazione più profonda e radicale della Verità, non è monopolio di nessuna lingua, popolo o nazione. Invece, se mettiamo in dialogo le varie culture tra di loro alla luce del Vangelo, ecco che
tutti potremo progredire nel cammino verso la Verità della Vita; ciò che è importante per il nostro vivere su questa Terra.

Un piccolo esempio, di quanto sto dicendo, alcuni di noi l’hanno sperimentato qualche mese fa, in occasione del Battesimo cattolico di un bambino nigeriano. Senza preamboli, né dichiarazioni dogmatiche, ci siamo ritrovati assieme: cattolici, pentecostali protestanti e mussulmani. Non abbiamo
salvato il mondo, ma di certo l’abbiamo reso un po’ migliore e più ospitale. E’ esattamente in questa prospettiva di una Chiesa dalle Genti, che vorremmo caratterizzare il nostro ottobre missionario. Infatti, per non correre il rischio di illuderci di aiutare genti lontane con le briciole, che “cadono dalle nostre mense”, il Signore Gesù ha fatto sì che quelle Genti, in carne ed ossa, venissero qui in mezzo a noi. Se siamo realmente il Corpo di Cristo, ovvero la Chiesa, siamo chiamati a rapportarci a loro come farebbe
Gesù, con uno stile di accoglienza e di dialogo fraterno.

Se è vero che questo è il compito e la missione di tutta la Comunità cristiana, è pur vero che servono delle persone un po’ più sensibili ed attente, che aiutino e favoriscano questo incontro tra le varie culture presenti nella nostra Comunità Pastorale. Questa è la Pastorale dei migranti, della quale si parla ormai da più di un anno, ma che ancora non è decollata nella nostra Comunità Pastorale. Il desiderio di noi sacerdoti è che questo Mese missionario possa segnare il sorgere di questa nuova pastorale a servizio
della Chiesa dalle Genti.

don Marco