Più che una frase della Parola di Dio, questa settimana mi ha colpito una frase di uno dei commentatori che mi aiutano a pregare sulla Parola di domenica in domenica. Recita così: «Quando la tribolazione è amore, per esempio del coniuge o dei figli, allora la si vive non come una condanna, ma come un parto, aperto alla speranza». Mi ha immediatamente riportato ad una esperienza personalissima, e per questo mi scuso se parlo di me, ma d’altra parte è il modo più certo per me di poter testimoniare la verità di quanto afferma la Parola di Dio di questa domenica, di cui questa frase è commento.
Nella mia infanzia ero legato tantissimo a mia madre, con la quale mi trovavo più in sintonia che con mio padre. Per molto tempo, dopo la sua prematura morte, ho sentito la nostalgia di lei, della sua presenza e della nostra intesa, senza accorgermi di quanto stava accadendo nel papà. Chiuso nel mio dolore di figlio, non sapevo considerare il suo dolore di sposo e di giovane papà rimasto solo a dover badare a tre figli, alla casa e al lavoro. C’è voluto molto tempo – e la vicinanza del “mio don” e della Parola di Dio sono stati fondamentali – perché nel buio del mio smarrimento dal sapore di morte si accendesse quella luce di cui parla il Vangelo di oggi in cui Matteo riferisce a Gesù una profezia di Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Is 30,15).
A poco a poco ho iniziato a riconsiderare la figura di mio padre, uomo dalle rare manifestazioni di affetto e di poche parole, e a vedere lui e la nostra situazione sotto una luce nuova: quella dell’amore, rivelata da Gesù.
Ho visto l’amore trasformare un uomo che in casa non faceva molto – poiché il suo compito del fare era assolto nelle ore di lavoro – in uno sposo premuroso, capace di vegliare notti intere la mamma e poi di andare a lavorare; in uomo di casa concreto e generoso, e in un padre che è diventato anche madre, senza dimenticare il suo servizio verso tante persone, soprattutto anziane, nelle Acli del paese. Se all’inizio davanti ai miei occhi c’era la vita della mamma, una vita consumata per amore (in una tregua della malattia avevano deciso di dare la vita ad un altro figlio), poi mi sono accorto del papà, che non si è mail lasciato andare: ha continuato a lottare, a prendersi cura di noi, da solo, senza risparmiarsi, per amore.
Forse lui è sempre stato così, chissà. Sicuramente quella Luce ha illuminato il mio sguardo. Sono io che ho vissuto una conversione. Nel buio del mio smarrimento a cui la morte della mamma mi sembrava mi avesse condannato, la Luce mi ha fatto vedere le stesse cose in un modo nuovo: come un parto aperto alla speranza. Non un dolore sterile, inutile, ma un travaglio.
Non mi si fraintenda: non sto celebrando i miei genitori. Chissà di quante altre persone si possono raccontare vicende di tribolazione nell’amore che resteranno per sempre nascoste, se non agli occhi di chi si lascia illuminare da questa Luce, ma che – per la forza di questo amore – hanno saputo trasformare il dolore come una condanna, in un parto pieno di speranza.
Noi tutti, prima o poi ci scopriamo lontani dal Signore, per il male che abbiamo fatto, perché la vita ci ha ferito o deluso, o perché pensiamo di bastare a noi stessi. La Parola di Dio di questa domenica apre i nostri cuori e i nostri occhi alla speranza: in Gesù, Dio Padre si fa vicino, ci illumina con la sua grazia, sbriciola il muro delle nostre resistenze e delle nostre pretese di rivincita che ci pongono con prepotenza una spanna sopra gli altri e ci chiudono in noi stessi, per mostrarci che la sua volontà di salvezza è per ogni uomo. Quella conversione del cuore e dello sguardo, che tanto temiamo perché ci sembra uno sforzo tutto nostro che va aldilà delle nostre possibilità e delle nostre forze, è invece un lasciar fare a Dio, perché sia Lui, finalmente, a poter pensare a noi e prendersi cura di noi. “Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza»” (Mt 4,16).
don Andrea