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Cammino Sinodale : la sfida di fare una Chiesa diversa

Lo scorso ottobre la Chiesa Italiana, per volontà di papa Francesco, ha iniziato il cammino sinodale. Anche il consiglio pastorale della comunità ha iniziato a riflettere su questa volontà che viene da lontano: già dal discernimento dei padri al Concilio Vaticano II era emersa la necessità di una sosta nel cammino della Chiesa per ritrovare la sua inziale “forma”, che nel corso dei secoli e della storia si è modificata, non sempre in modo fedele al Vangelo.

Ma che cos’è una Chiesa sinodale? Papa Francesco, da buon gesuita, incomincia col dire cosa non è e cosa non deve essere. Non deve essere un evento «di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro»; non deve ridursi a un gruppo di studio «con interventi colti, ma astratti, quasi un parlarsi addosso dove si procede in modo superficiale e mondano». Non deve rassegnarsi «all’immobilismo del “si è sempre fatto così”: autentico veleno – sottolinea Francesco – nella vita della Chiesa, tipico di chi cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo, assumendo soluzioni vecchie per problemi nuovi».

Per evitare i tre “rischi” del formalismo, dell’intellettualismo e dell’immobilismo, in cui il processo sinodale può arenarsi sul nascere, il Papa afferma che occorre «coinvolgere in fasi diverse e a partire dal basso le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione». E allora? Di cosa si tratta in concreto? Si tratta di tornare alla “forma” originale della Chiesa, quella delle origini, quando la Chiesa non si era ancora organizzata sul modello dell’impero, dove il modello gerarchico non parla di servizio, ma di potere; dove i ruoli individuali hanno prevalso sulla comunione che nasce dalla relazione; dove l’organizzazione e la struttura hanno ingessato la vita e la creatività delle diverse comunità…

Ne è prova il fatto che quando si parla di “Chiesa”, i più pensano al papa, ai vescovi e ai preti, e non a tutti i battezzati; che quando c’è una decisione da prendere basta la parola di uno solo, il parroco / il vescovo, senza passare dal discernimento della comunità; che in tutte le comunità cristiane ci sono dei “laici” la cui posizione diventa talmente predominante, che senza di essi la vitalità della comunità si spegne… e gli altri? Si accomodano nella posizione di “spettatori” o di “fruitori” di servizi…

Questo è il clericalismo, contro cui papa Francesco si scaglia con forza: in nove anni di pontificato ne ha parlato circa sessanta volte! E’ il sintomo grave di una fatica interna alla Chiesa: quella che, in maniera diversa, tutti facciamo per superare la visione piramidale della Chiesa, che finisce con il produrre una separazione nel corpo della comunità dei credenti, sacralizzando in modo indebito il ministero dei consacrati e dei laici “importanti”, e ponendo in una posizione di sudditanza e di insignificanza tutti gli altri fedeli.

Nonostante il concilio ecumenico Vaticano II abbia affermato chiaramente che tra i membri del popolo di Dio «vige una vera eguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo», da un punto di vista della prassi ecclesiale tale affermazione non ha ancora lasciato segni particolarmente evidenti e il clericalismo, nell’accezione di papa Francesco, continua a caratterizzare vasti settori della Chiesa.

Il Consiglio pastorale unitario, le consulte parrocchiali, e alcuni gruppi di fedeli che svolgono un servizio (catechisti e genitori dei cammini di fede dei ragazzi, volontari del centro anziani e della Caritas, genitori e animatori dell’oratorio, hanno incominciato, nei loro ritrovi, a interrogarsi su questa modalità di essere Chiesa da riscoprire, e sui modi per coinvolgere in questo cammino tutti i fedeli, per essere Chiesa secondo il Vangelo.

don Andrea