Il brano del vangelo di questa domenica si apre con l’esplosione della malcelata invidia dei discepoli di Giovanni Battista per Gesù e i suoi seguaci. Essi non hanno nel cuore la preoccupazione che il loro maestro venga messo in ombra da Gesù. Piuttosto temono per sé, perché se Gesù scalza Giovanni Battista, loro maestro, che ne sarà di loro?
E’ la logica mondana a guidare i ragionamenti dei discepoli del Battista. Una logica che guarda gli altri dal basso dei nostri sentimenti meschini e egoisti, quando veniamo superati in bravura, successo, riconoscimenti e apprezzamenti pubblici, e gli altri “salgono”, mentre noi si resta in “basso”. Una logica che fa leva sulla paura di non essere nessuno, e genera in taluni sofferenza, frustrazione, e in altri perfino angoscia. Una logica che fa vedere gli altri come delle minacce, e Dio come un nemico perché li benedice e favorisce. Una logica che ci muove, ma non sa risollevarci…
«Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti. (…) Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti» (Gv 3,31). Basta farsi una passeggiata in montagna per capire ciò che Giovanni Battista vuol dire. Più sali, più il panorama è mozzafiato, grande, maestoso, complessivo. Dall’alto le cose si vedono nella loro interezza, dal basso invece le si vedono solo nella misura del nostro sguardo. La superiorità di Gesù non è la superiorità degli uomini, che fa ombra agli altri uomini. E’ la superiorità di chi sta in alto, appunto, di chi viene dal cielo e ha visto le cose per ciò che sono veramente. Gesù, che viene “dall’alto”, ad un certo punto, incomincia a parlare apertamente del suo essere innalzato, ma non in una improbabile scalata al successo, bensì nella sua morte di croce.
Fa impressione pensare che Gesù dall’alto della croce vede meglio di quelli che stanno in basso. L’hanno inchiodato alla croce pensando di umiliarlo e di sprofondarlo nella tomba, e l’amore di Dio l’ha innalzato fino al Regno dei Cieli. Ma il mondo questa prospettiva “dall’alto” non può più comprenderla, poiché Dio è stato confinato oltre l’orizzonte della vita dell’uomo, e l’uomo vive senza Dio.
La vita è fatta anche di croci: non è vero che sempre “andrà tutto bene”. L’abbiamo sperimentato nella pandemia a livello globale, ma anche nelle nostre vicende personali. E per quanto l’uomo cerchi di negare l’esistenza delle croci nella propria vita, queste prima o poi si presentano. Non c’è alternativa ad una vita su cui si stende l’ombra della croce.
Ma ci può essere una alternativa su come guardare alla croce. E questa alternativa viene proprio dalla fede nel Dio Crocifisso: si può essere crocifissi e stare sottoterra, e si può essere crocifissi e stare in alto. La croce non è più solo un’esperienza di disperazione, ma può diventare un’occasione di santificazione.
Chi soffre guardando a Gesù sulla croce, capisce la vita in maniera più profonda. Chi è inchiodato su una croce con Gesù guarda la realtà come Dio la guarda dal cielo, Gesù ci ha donato una posizione nuova per le nostre croci. Chi prende la propria croce con Gesù per affrontarla, la vince, e diventa capace di aiutare gli altri a portare le proprie croci, donando sollievo.
Difficile da accettare, ma la superiorità di cui parla Gesù, la si ottiene non dominando, ma caricandosi la propria croce fin sui nostri personali Calvari. Credere nel Figlio significa seguirlo fin lassù. In fin dei conti ce l’aveva detto: “chi mi ama mi segua”. In quel “seguire” si gioca tutto il nostro “credere”. Anzi si gioca tutto. In questo senso allora la fede è un cambio di prospettiva, che non viene dalle idee ma da ciò che ci accade. È la vita stessa che molto spesso ci chiama a conversione, cioè ci chiama a capovolgere le nostre visuali. Ma, in questi capovolgimenti, alle volte impariamo a leggere anche una bellezza che per molto tempo era rimasta nascosta alla nostra vista, e che in un capitombolo che ci è accaduto, d’un tratto ci è apparsa così evidente, così chiara, così struggente.
Negli occhi di chi soffre a volte c’è così tanta bellezza, o tanta disperazione. Da quegli occhi si capisce dove è stata piantata la loro croce. Il calvario è un’altura, non una fossa.
don Andrea