Insieme

Che meraviglia LA VITA CHE CI DAI! A occhi aperti verso la Pasqua

La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù.

Gesù amava molto gli amici della Casa di Betania dove poteva godere dell’accoglienza premurosa di Marta, dell’ascolto attento di Maria (cf. Lc 10, 38-42) e dell’affetto fedele di Lazzaro. L’ascolto della Parola, il servizio nella carità, e la vita nuova che Lazzaro riceve sono le dimensioni che Dio scrive dentro ogni suo figlio rigenerato nel Battesimo, perché viva di queste dimensioni.

La casa di Betania è simbolo della comunità cristiana che vive dell’Amore del Padre, come Amore più forte della morte.

Le sorelle mandano ad avvertire Gesù della malattia di Lazzaro, ma egli è lontano.

Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Che senso ha?

Sono domande affiorate all’interno della rete di amicizie di Gesù, ma che ancora oggi – e in questa pandemia più che mai – risuonano quando nelle nostre relazioni appaiono la malattia e la morte: è l’ora in cui la nostra fede e il nostro essere amati da Gesù sembrano esse-re smentiti dalle sofferenze della vita…

Gesù, informato di tale evento, dice: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”, ovvero è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio, gloria dell’amare “fino alla fine” (Gv 13,1).

Il suo parlare sembra contraddire l’evidenza: sempre nella malattia la morte si staglia all’orizzonte con la sua ombra minacciosa, eppure Gesù rivela che la malattia di colui che egli ama non significherà vittoria della morte su di lui.

E così – particolare a prima vista sconcertante – Gesù resta ancora due giorni al di là del Giordano. Solo il terzo giorno (allusione alla sua resurrezione!) annuncia la sua volontà di recarsi in Giudea.

I discepoli non comprendono: “Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”.

Chi reagisce alla volontà di Gesù, in modo impulsivo e forse addirittura provocatorio, è Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui!”. Al di là delle sue stesse intenzioni, egli afferma una profonda verità: seguire Gesù significa trovarsi dove lui è (cf. Gv 12,26), e se lui va verso la morte – come sarà chiaro alla fine di questo capitolo 11 del Vangelo di Giovanni – anche ai discepoli toccherà altrettanto.

Di solito chi si domanda circa il senso della propria vita si chiede: per che cosa vale la pena di vivere?.

Ma la pandemia in corso ha riportato nei nostri discorsi e davanti ai nostri occhi il mistero della morte che conclude la vita terrena. Malvolentieri – assuefatti come siamo dalla cultura del piacere che ci chiude nella cura di noi stessi e ci fa rincorrere le occasioni di divertimento che ci narcotizzano dalle fatiche e dai dolori della vita; e impegnati fino all’affanno nelle corse dettate dalle tante cose da fare che la pandemia ha un po’ rallentato – alla fine dobbiamo farci i conti con la morte.

Perché non arrivi prepotente e indesiderata a svuotare di senso un’intera esistenza, e a rendere vani gli sforzi di una vita. E allora, certo: per che cosa vale la pena vivere? ma anche: per che cosa vale la pena morire?

Spesso noi credenti pensiamo di poter giungere alla Pasqua della vita senza passare per il Venerdì Santo.

E che l’amore vero c’è fino a quando va tutto bene. Dio ci propone una versione inedita dell’amore: l’Amore vero è quello che resta fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia… e anche dentro la morte, e – con grande nostra sorpresa – oltre la morte.

Il vangelo di questa domenica si conclude così: Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo (Gv 11,53). Cioè: Gesù resuscita Lazzaro da morte, e per questo viene decisa la morte di Gesù.

Quale scambio di doni! Gesù dà la propria vita in cambio della vita di Lazzaro. Per questo si è incarnato, si è fatto uomo, e come uomo, non ha trovato solo un senso al suo vivere, ma anche al suo morire. Sempre. Aggrappato all’Amore del Padre. Ecco il dono estremo fatto da Gesù a quanti si lasciano coinvolgere dalla sua vita: la morte non ha l’ultima parola, e chiunque aderisce a Lui, lo ama e si lascia da lui amare, non morirà in eterno! Canta Gregorio di Nazianzo:

“Signore Gesù, sulla tua Parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla tua voce. Fa che io sia il quarto!”

don Andrea