Gesù e i discepoli passano accanto ad un nato cieco. I discepoli pongono a Gesù la domanda che vede un legame diretto tra peccato e malattia: “Ha peccato questo cieco, oppure i suoi genitori?”.
Non sta forse scritto: Io, il Signore, sono un Dio geloso che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione? (Es 20,5). E intanto la Lombardia di nuovo arde infettata, anche da noi si torna in zona rossa. “Chi ha peccato, Rabbì? I lombardi? i loro antenati?”
Gesù rifiuta in modo categorico questa spiegazione e alla domanda risponde annunciando quanto sta per fare: vuole manifestare l’azione di Dio, l’amore del Padre! Gesù rifiuta le spiegazioni abituali, anche se pie e devote, non propone neppure altre giustificazioni del male, ma si impegna a contrastare, a distruggere il male, a rendersi solidale con chi soffre.
Questo è Dio e così agisce l’uomo credente che si lascia illuminare nello sguardo dalla luce di Gesù. Dunque Dio infrange le regole (i decreti governativi del tempo sul sabato) e s’inginocchia, contaminandosi di saliva: “Sputò per terra, fece del fango con la saliva, e – toccandolo – lo spalmò sugli occhi del cieco”. Mentre il mondo, attorno a Gesù, guarda il male e s’interroga sulle sue connessioni, Gesù s’inginocchia e frantuma il Male. «Siamo polvere, terra, argilla – è di Papa Francesco nel Mercoledì delle Ceneri – ma se ci lasciamo plasmare dalle mani di Dio diventiamo una meraviglia».
Dio, nel Vangelo, ha immesso un principio di realtà nella storia: a volte bisogna dare un giusto peso all’evidenza. E arrendersi non è una debolezza, è una scelta.
È inutile anche arrendersi, a dire il vero: “Tanto l’evidenza continuerà ad infierire”, potrebbe rispondere il cieco nato. Dunque, che fare? «Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Il fatto è che «Dio è l’invisibile vivente» scrisse Victor Hugo. È l’invisibile: per questo tanti arrancano nel credere alla sua evidenza. È il vivente, però, l’invisibile-vivente. E’ all’opera, sta in mezzo alla contaminazione, è tutto infettato di umanità. Mentre il mondo è infettato da decreti, appelli e cavilli: “È sabato! Chiamate subito a rapporto i suoi genitori! È un eretico!” Fatto sta che il pregiudizio vede soltanto ciò che gli pare, non vede ciò che è evidente: non s’accorge dell’uomo guarito, si scervella a chiedersi chi sia stato a guarirlo.
Il cieco, da parte sua, non sa fare altro che gioire. Continua a ripetere loro ciò che è evidente a tutti, sotto gli occhi ciechi di tutti: “Prima ero cieco, adesso ci vedo: cosa volete che vi dica più di così?”. Ma quelli l’insultarono e lo cacciarono fuori. Peccato che, appena fuori città, ad attenderlo ci sia proprio Gesù che l’ha guarito: “E tu credi nel Figlio dell’Uomo? È Colui che ti parla”. E lui: “Credo, Signore!”. Siamo tutti stanchi di restrizioni e di divieti che soffocano la libertà di fare ciò che piace, ma non siamo ancora stanchi di vivere accecati dai nostri egoismi, che ci lasceranno chiusi in noi stessi anche quando la pandemia sarà un ricordo.
La preoccupazione grande è per i ragazzi e i giovani, ai quali la pandemia sta rubando tante occasioni che rendono bella la stagione della loro giovinezza. Di fatto è così: questo sta avvenendo. Ma come mai non siamo ancora capaci di vedere le occasioni che pure rimangono anche in questa pandemia perché loro si scoprano non solo “poverini”? Chi fa vedere a loro tutto l’amore che genitori e nonni ormai esausti non smettono di dispensare, facendosi in quattro tra il lavoro, l’accompagnare i figli più piccoli nella didattica a distanza, e nel non far mancare a nessuno le attenzioni e le cure necessarie?
Non sono questi segni evidenti dell’ Invisibile-vivente, dell’amore del Padre di cui Gesù incarnato si fa evidenza? Chi mostra a loro che non sono solo destinatari di cura, amore e premure, ma capaci loro stessi di cura verso il prossimo, e di fare della propria vita un dono?
Forse siamo davvero accecati dalla cultura in cui viviamo che ci chiude in noi stessi, senza che ce ne accorgiamo. Abbiamo bisogno di essere guariti dalla pandemia, ma anche dalle nostre cecità, che continuerà a renderci ciechi, anche se noi crediamo di vederci bene.
don Andrea