Il Vangelo, nella festa della Santa Famiglia di Nazareth, ci mostra Gesù preadolescente (secondo i canoni attuali), poiché ha dodici anni. Dal punto di vista religioso, secondo i canoni del tempo, invece, ha appena fatto il proprio ingresso nel mondo adulto, tramite la Bar Mitzvah: la cerimonia nella quale ci si accosta alla Scrittura, si legge il rotolo e si risponde a domande su di essa.
Dopo questa cerimonia, i suoi genitori tornano indietro con il resto della carovana. “Ormai è grande” avranno pensato; per cui, è solo dopo due giorni di viaggio che si rendono conto che Gesù non solo non è insieme con loro, ma non si è unito né al gruppo dei pari età, né a quello di altri adulti che compongono la comitiva. Non c’è. Si sono persi il Figlio di Dio!
Facile immaginare lo sconcerto e lo sgomento, e – come spesso accade – magari anche i giudizi taglienti delle altre famiglie (perché è sempre più facile vedere e additare i problemi in casa d’altri). Gesù era rimasto a Gerusalemme, nel tempio.
«Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2, 49) Questa è una risposta che solo Gesù, Figlio del Padre, riesce ad esprimere pienamente a parole.
Eppure, è una risposta che suona clamorosamente familiare alle mamme e ai papà che si interrogano del destino dei propri figli. Perché, prima o poi, tutti ricevono una risposta del genere. Solo che, spesso, non si tratta di parole. Sono atteggiamenti, talvolta provocazioni, ribellioni, gelosie, invidie, fughe. Non sempre, i nostri adolescenti padroneggiano verbalmente ciò che anima i loro cuori, ma anche loro, ciascuno a proprio modo, esprimono la propria supplica di “essere lasciati andare”.
Ogni uomo e ogni donna sono abitati da un mistero più grande del loro cuore, hanno una sete più radicale di ogni voglia che il mondo potrà mai soddisfare. Ci abitano accanto, ci passano accanto, ma ci sfuggono, vanno oltre ogni nostra possibile comprensione, alla quale non possiamo ridurli, pur di capirli. “Capire”, del resto viene dal latino capio, che significa, tra le altre cose, “contenere, essere capace”: solo Dio può contenere i desideri dell’uomo, perché questi lo travalicano e lo superano.
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,51-52). Nell’educazione, abbiamo tutti bisogno di metterci alla scuola di Maria e del silenzio in cui Essa custodisce e coltiva quelle situazioni e quelle sensazioni che non riesce a padroneggiare. In questo, soprattutto le donne dovrebbero riconoscere con umiltà il rischio tutto loro di cedere spesso alla tentazione del controllo, che spesso rischia di far degenerare non solo le relazioni coi figli, ma anche quelle amicali ed amorose, quando si perde la capacità di vedere quei confini invalicabili, che delimitano l’altro e la sua libertà, che neppure Dio osa oltrepassare. C’è una resa che è sana e santa, di fronte all’impossibilità di tutto comprendere.
È una resa necessaria. Mentre Maria conserva nel suo cuore ciò a cui non può rispondere, e fa silenzio pur di non rispondere qualunque cosa, pur di fare qualcosa, Gesù cresce, sotto ogni aspetto, in modo integrale: «sapienza, età e grazia».
Questa “resa” dal sapore di Vangelo non è rinuncia passiva al dialogo e alla vicinanza con i figli; e non ha nulla a che fare con l’eccessiva libertà che tanti genitori accordano ai figli quando si sottraggono al compito di vigilare su di essi dicendo: “fai quello che vuoi!”.
Tutto il contrario: soprattutto per i papà è venuta l’ora di riprendersi il ruolo da “maschi” e dire quei “sì” e quei “no” che permettono ai figli di conoscere ciò che essi pensano, e di maturare la capacità di essere critici di fronte al proprio mondo interiore.
Anche per i papà c’è un esercizio di silenzio: quando viene loro voglia di rispondere
sbrigativamente con il solito: “chiedi alla mamma”.
don Andrea