Insieme

Epifania. La manifestazione della vita dei figli di Dio

Ciò che i Magi fanno una volta nella vita, il credente cristiano lo fa in ogni istante della sua vita, a partire dalla celebrazione dell’Eucaristia.

La rappresentazione dell’adorazione dei Magi, così legata al tempo di Natale e al solo giorno dell’Epifania, capita di trovarla sovente nelle chiese antiche – come a Corenno – collocata volutamente sempre in prossimità dei gradini che salgono all’altare, così che la si vedesse tutti i giorni dell’anno.

Come mai? Che cosa fanno i Magi? Rispondono all’offerta che Dio fa di sé nell’Incarnazione (che culminerà nel dono totale della propria vita nella Passione e Resurrezione) offrendo anch’essi qualcosa di se stessi. Nella messa, insieme al pane e al vino con cui Gesù compie nell’ultima cena l’offerta di sé al Padre per la nostra salvezza, anche i credenti offrono la loro vita perché porti frutti di salvezza. E’ per questo che in quel momento si raccoglie la questua: per meglio significare che insieme al pane e al vino, offriamo la nostra vita, per dare vita e sostegno a chi è più povero e bisognoso di vita. Come ha fatto Gesù.

La celebrazione dell’Eucaristia è un dialogo tra l’uomo e Dio tutto incentrato sul verbo offrire: Dio offre se stesso all’uomo, l’uomo risponde commosso e grato di tanto dono, offrendo a sua volta se stesso a Dio e ai fratelli. La celebrazione dell’Eucaristia non esaurisce l’azione del credente, come a dire che una volta andati a messa si è “a posto”.

E’ principio e fonte di una intera vita – vissuta fuori dalla chiesa – tutta giocata sulla grammatica dell’offerta e del dono di sé. E allo stesso tempo – come l’ultima cena per Gesù – la messa è culmine e pienezza di una vita spesa nell’offerta di sé, riassunta nel gesto del pane e del vino offerti, spezzati e versati.
Il gesto dell’offrire se stessi è l’espressione concreta del “prendersi cura” dice il papa nel messaggio per la pace del 1 gennaio di quest’anno.

L’atteggiamento del prendersi cura, che porta ad offrire e ad offrirsi, non è un accessorio, ma costituisce l’identità del credente. Nella pagina biblica del racconto della creazione, Dio affida all’uomo il creato perché lo coltivi e lo custodisca. E quando crea Adamo ed Eva li affida l’uno all’altro così come i loro figli Caino e Abele. Quando a Caino omicida Dio chiede conto del sangue di Abele, egli risponde: Sono forse il custode di mio fratello? La domanda è retorica. Caino sa bene che Dio gli chiede del fratello perché l’uno è stato creato custode dell’altro.

Con una analisi scarna ma puntuale, il papa mette in relazione la pandemi-a con lo sfruttamento indiscriminato della natura e la poca cura del creato; la cultura dell’indifferenza e dell’individualismo con la poca cura dei fratelli; e richiama ai credenti la loro identità e la loro missione di testimoni, mostrando come nella prima comunità cristiana e nelle epoche successive i cristiani hanno segnato la mentalità e la società con la cultura della cura. In particolare afferma che la proprietà non è mai stata intesa come “privata”, ma sempre a servizio del bene comune. E le opere della carità mai in-tese come appannaggio di pochi, a cui delegare il servizio della cura, ma espressione dell’intera comunità cristiana che proprio attraverso la cura delle povertà e dei bisognosi esprimeva concretamente nella vita ciò che professava e credeva nella celebrazione.

A chiusura del cammino dell’Avvento di Carità, presentiamo l’ultima opera-segno già conosciuta con il nome di “famiglie solidali”. La campagna di raccolta viveri a cui generosamente la comunità ha partecipato si conclude. Ma non si spegne l’attenzione agli indigenti e alle loro necessità. Una volta al mese ci verrà ricordato che possiamo esprimere la cura verso i più poveri portando alla messa dei viveri, o lasciando nel cesto della questua un’offerta più generosa.

Nella grande benedizione che Dio affida ai capi del popolo, che è risuonata nella prima lettura delle liturgie del primo giorno dell’anno, si dice così: “Ti benedica il Signore e ti custodisca”. E’ consolante sapere che il nostro Dio ci bene-dice ed è il primo a custodirci: si prende cura di noi, offrendoci se stesso. Mettiamoci volentieri nelle sue mani, e volentieri imitiamo il suo offrirsi per diffondere ancora nel mondo la cultura della cura, facendoci riconoscere dal nostro offrirci, figli e figlie di Dio.

don Andrea